sabato 19 gennaio 2013

Le origini dei manga

Buongiorno a chi legge!
Il fine settimana scorso mi è capitato fra le mani, consigliato da un amico, uno dei fumetti di autore giapponese più bello e commovente che ho letto negli ultimi anni. si tratta di NonNonba, di Shigeru  Mizuki, ed. Rizzoli Lizard 2012. Il sottotitolo specifica Storie di fantasmi giapponesi e sono proprio gli yokai ad essere protagonisti, assieme all'Autore bambino, degli episodi qui raccolti. Queste creature indefinibili, nè buone nè cattive, spesso spaventose, sempre dispettose, hanno popolato il mondo giapponese, particolarmente in quelle zone rurali e povere in cui è cresciuto Shigeru Mizuki. La nonna, NonNonba, appunto, altro personaggio di spicco di questo manga, accompagna l'infanzia del nipote, fatta di amici, liti o lotte furibonde, scuola, ecc., con la sua saggezza antica, spiegandogli le manifestazioni dei fantasmi, come difendersi, come evitarli.
La poesia del racconto  e l'atmosfera sognante permeano anche episodi tristissimi, come la morte per morbillo di una compagna, o la vendita ad una casa di geishe di un'amichetta particolarmente carina e povera. Su tutto, incombono gli yokai, come Azuki Hakari (il lanciatore di fagioli), Betobeto San, Nurunuru Bozo e altre invisibili presenze della vita di ogni giorno.
 
Visto che amo leggere un libro dall'inizio alla fine, mi sono soffermata anche sulla pregevole introduzione di Paolo Interdonato (e ho fatto benissimo), che mi ha illuminata su una forma d'arte e comunicazione ormai perduta a cui si fanno risalire le origini dei manga.
 
Conoscete la parola kamishibai? Si può tradurre come sceneggiato su carta o dramma su carta, e si riferisce ad una singolare forma di teatro itinerante, di piazza, in cui la narrazione si effettuava per il tramite di cartoncini acquarellati in sequenza; il cantastorie raccontava la vicenda legata all'episodio illustrato.
Un po' come i nostri burattinai, questi artisti di strada viaggiavano in bicicletta di paese in paese, trasportando sul portapacchi una specie di cassettina di legno, il butai, che si apriva come le quinte di un teatrino per permettere lo svolgimento dello spettacolo. In genere si trattava di tre racconti, uno d'avventura per i ragazzi, uno più "drammatico" per le ragazze ed uno comico.
Leggo che durante il secondo conflitto mondiale il governo utilizzava i kamishibai per fare propaganda, ma anche durante l'occupazione gli americani se ne appropriarono per rappresentare storie legate al mondo e ai valori occidentali.
 
 

Anche Shigeru Mizuki, passato attraverso gli orrori della guerra (in cui ha perso un braccio) con inguaribile ottimismo, per vivere ha portato nei villaggi di un Giappone impoverito e devastato le storie dei kamishibai, che ha poi ripreso nei suoi manga più famosi (ad es. Kitaro dei cimiteri).
 
Con l'avvento della televisione nel 1952 i kamishibai piano piano scomparvero dalla scena, ma ancora oggi viene utilizzato nelle scuole e nelle biblioteche come un valido sussidio didatttico: i bambini creano storie e illustrazioni che poi verranno narrate dall'insegnante o dal cantastorie, proprio come i loro bisnonni usavano fare durante la guerra.


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